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lunedì 26 marzo 2012

I segreti del Barcellona raccontati da Joan Laporta (da Repubblica)


Joan Laporta, architetto del Barça-mes-que-un-club, custode del segreto più invidiato di quello della Coca-Cola, ovvero il segreto della squadra dei sogni. Gli ultimi 10 anni in vetta al mondo e ora da due qui nell'anonima sala riunioni del suo studio legale, vista sul retro del palazzo, balcone con calcinacci di lavori in corso. Una fama di Casanova da girone di ritorno e di "chico Martini", ragazzo da drink, che scaccia con un gesto della mano: leggende. La carriera politica, il suo nuovo campo di gioco, va così così: vorrebbe la Catalogna indipendente, il nuovo corso politico non giova alla causa. Potrebbe essere malinconico, risentito. Invece gli brillano gli occhi mentre parla, salta sulla sedia, si alza, fa disegni con la mano. Di chi lo accusa di aver lasciato buchi nei conti dice "miserabili. Non mi perdonano il successo. Gli ho consegnato la squadra più bella del mondo". Tornerà al club? "Forse, chi può dirlo", e si illumina. Parla del Barça al futuro, "il prossimo presidente sarà Guardiola, il prossimo allenatore Xavi". Si diverte. Mercoledì la squadra giocherà contro il Milan di Berlusconi: "Un tipo guascone. Quando ha fatto shopping di lusso, ai tempi di Sacchi, aveva una squadra fortissima. Pagando, certo. Ma la nostra filosofia è un'altra: menos cartera, mas cantera. Meno mano al portafogli, più vivaio. Un altro modello, diciamo così".

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Cosa significa "mes que un club"? Qual è il segreto del Barcellona?
"In primis la storia. La nostra è una squadra più che centenaria, foro di democrazia e di diritto. Negli anni di Franco, quando parlare catalano era proibito, al Barça si parlava la nostra lingua. Uno dei nostri presidenti fu fucilato dal dittatore fascista. Il Real era la squadra del regime, la nostra quella della regione che vanta il primo parlamento d'Europa. Il Barça non ha un padrone, è di proprietà dei soci. Fra la squadra e la comunità c'è una prossimità integrale".

Rigore e lavoro: questo il catalanismo?
"Cultura dello sforzo. Onestà. Responsabilità. Senso comune. Quello che noi chiamiamo "seny". Voi dite buon senso. Però poi i catalani hanno una vena di vittimismo che non è arrendevolezza, al contrario: semplicemente mediano, conciliano, sopportano e vanno avanti. Questo serve a resistere ma non basta per vincere. Noi abbiamo fatto in modo che il Barça vincesse".

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Appunto, in che modo?
"Gli elementi sono 4. Catalunya è uno. Poi però ci voleva Cruyff, che è il secondo. Il terzo è il vivaio. Il quarto è Unicef. Il privilegio di dare".

Iniziamo da Cruyff. 
"Senza Cruyff non sarebbe successo nulla. Quando venne a giocare da noi ero bambino. Era l'anno della Liga dorada, '73/74. Noi portavamo le divise e i capelli corti con la riga stile franchista. Lui aveva i capelli lunghi. Una moglie bellissima, Dani. Volava, in campo. Fu il primo a fare pubblicità facendosi pagare: è lavoro, diceva. Il progenitore del diritto di immagine! Lo adoravamo. Poteva andare ovunque, era il Messi di allora. Per meglio dire: Messi è il Cruyff di oggi... Poi negli anni Novanta è tornato da allenatore. Generoso, furbo, coraggioso, carismatico. Il gusto per lo spettacolo che diventa arte. Quattro regole semplici: avere la palla, massimo due tocchi, velocità, pressione sull'avversario. Un modo genuino di giocare. Cruyff ci ha semplicemente mostrato che c'era tutto per vincere, bastava farlo. E per farlo bisognava divertirsi, appunto, perché giocare significa divertirsi, no? Mi ricordo che a Wembley, alla finale di Champions contro la Sampdoria, fece uscire i giocatori dagli spogliatoi dicendo solo questo: "Andate, e divertitevi". I ragazzi hanno imparato. Messi quando gioca sembra che lo faccia nel cortile della scuola. Si diverte".

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E così è cresciuta la cantera. Il vivaio.
"Un gioiello. I ragazzi in campo oggi, da Messi a Xavi, da Puyol a Iniesta, da Piquè a Busquets sono cresciuti insieme. Da quando avevano 8-9-10 anni. Sa cosa significa? Guardiola è uno di loro. In fondo il vero segreto è questo: sono buona gente".



Cosa si intende per buona gente?
"Umili. Che non fanno i gradassi. Che hanno buoni amici. Che si aiutano, sono una comunità. Sono generosi e solidali. Invece Ibrahimovic non è mai entrato in sintonia con la squadra. C'erano pressioni enormi perché lo prendessi, ma il calcio è un gioco collettivo e il Barça è il più solidale tra i collettivi. Fu un errore. Per di più non in linea col nostro spirito: meno spese, più vivaio..."(CONTINUA)...
da concita de gregorio (La Repubblica)